Conclusa il 4 novembre 1918 la lunga e dolorosa parentesi del primo conflitto mondiale, che era costato al popolo italiano un milione e duecentoquarantamila morti, di cui 651.000 militari, il nostro Paese, economicamente stremato, entrò in una turbolenta fase politica che portò, quattro anni dopo la fine della guerra, alla salita al potere di Benito Mussolini e al conseguente inizio del Ventennio. Capo del Fascismo era stato preceduto alla guida del governo da Giovanni Giolitti, presidente del Consiglio dal 15 giugno 1920 al 4 luglio 1921, da Ivanoe Bonomi, presidente del Consiglio dal 4 luglio 1921 al 26 febbraio 1922 e da Luigi Facta, rimasto in carica per soli otto mesi fino al giorno in cui (31 ottobre 1922), compiuta la marcia su Roma, Benito Mussolini ricevette da Vittorio Emanuele III l’incarico di formare il nuovo governo. La crisi economica e l’inasprirsi delle tensioni sociali sfociate nel “biennio rosso” non consentirono al liberale Giolitti di riproporre quella politica di aperture alle istanze sociali che aveva caratterizzato il suo secondo governo, varato il 3 novembre 1903, che si distinse dagli esecutivi che l’avevano preceduto per non aver isolato la nuova corrente socialista, accogliendo anzi nel governo i suoi rappresentanti come Filippo Turati e per essersi dimostrato comprensivo nei confronti delle agitazioni dei sindacati di operai e contadini al fine di migliorare le condizioni lavorative e così risolvere le manifestazioni di dissenso. Anche il successore di Giolitti, Ivanoe Bonomi, socialista riformista e convinto antifascista, poco o nulla poté nella turbolenta situazione in cui si trovava il Paese mentre all’ultimo presidente del Consiglio prima di Mussolini, Luigi Facta, gli avversari del regime fascista rimprovereranno la mancanza di polso dimostrata nel non avere contrastato, con le armi della legge liberale, le violenze degli squadristi.